Campagna VIRTUALE DEI BENI IN PERICOLO – La Lista Rossa
MAGGIO 2020
La sezione di Palermo di Italia Nostra
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Palazzo dell’Uscibene, Solacium regio di età normanna
Il palazzo, la cui prima notizia è la donazione nel 1177 del re Guglielmo II alla Chiesa, è stato la residenza estiva degli arcivescovi di Palermo fino al 1499; quindi il palazzo ed il fondo annesso furono ceduti in enfiteusi a vari proprietari. Dal 1681 fece parte della tenuta detta "la Villa" dei Padri Gesuiti. Nel 1767 fu acquistato da Giuseppe Di Cara.
L’edificio utilizzava molto probabilmente una costruzione araba già esistente nel parco del Genoardo, il giardino-paradiso che circondava la città, ed era uno di quei sollazzi (padiglioni) che i re normanni utilizzavano per il riposo e lo svago.
L’edificio segue la morfologia del terreno e sorge in prossimità della fonte del Sipene o Scibene; in epoca medievale fu dotato di torre, di cappella e grandi sale. L’edificio si compone di due piani. In quello inferiore si trova la sala principale è una sala triloba iwan, cioè aperta su un lato e con tre nicchie. Le laterali sono coperte da muqarnas con scanalature triangolari, la nicchia centrale era coperta da muqarnas ad archetti; dal salsabil posto al centro sgorgava l’acqua proveniente dalla fonte vicina. La sala triloba con iwan (nicchie) laterali coperte da volte con muqarnas con scanalature triangolari e nicchia centrale coperta da muqarnas e con un’apertura (salsabil) da cui sgorgava l’acqua. La sala si affacciava sulla peschiera sul fronte orientale e disposta probabilmente su più livelli ed è collegata ad una grotta sotterranea in cui scorreva l’acqua della vicina sorgente, sfruttata un tempo come camera dello scirocco (sala sotterranea, rinfrescata dall’acqua utilizzata nei periodi di grande calura come soggiorno). Il piano superiore ha sale coperte da volte a crociera, variamente utilizzate e la cappella, probabilmente aggiunta in epoca normanna ed accessibile dall’esterno, completamente stravolta dai pesanti restauri effettuati negli anni Venti del secolo scorso.
L’edificio è una notevole testimonianza di quel sincretismo culturale che ha caratterizzato il periodo normanno in Sicilia (1072-1194) durante il quale convivevano cultura araba e latina. Il palazzo dell’Uscibene è stato troppo lungamente utilizzato per uso agricolo e modificato nel tempo e versa oggi in condizioni disastrose che hanno reso difficilmente leggibili le eleganti strutture medievali.
Tuttavia, la sala dell’iwan è una delle più antiche testimonianze in Sicilia di questa tipologia, più antica di quella, più nota, della Zisa. La cappella di S. Maria del Sipene conserva un affresco del ‘400 con la Madonna Odigitria.
Purtroppo la maggior parte del complesso è proprietà privata e gravato dall’affiancamento di strutture edilizie appartenenti a terzi.
L’Uscibene è stato vincolato con Decreto dell’Assessore regionale dei beni culturali ed ambientali n°2160 del 22 luglio 1991, con la seguente motivazione: riveste importante interesse storico-artistico in quanto pregevole esempio di architettura arabo-normanna e parte, insieme al Castello di Maredolce, alla Cuba e alla Zisa di quel complesso sistema urbanistico costituente l’insieme dei "Sollazzi" del Parco Normanno.
Nel 2016 la Regione Siciliana ha espropriato la cappella e le aree della sala dell’iwan e lo spazio scoperto limitrofo.
È in vigore il divieto assoluto di edificazione (ai sensi dell’art. 21 della Legge 1089/1939) e del "divieto di apportare qualsiasi modifica alle strutture già esistenti" nell’area intercorrente fra il controviale lato monte della circonvallazione ed il Palazzo normanno.
Quasi sconosciuto persino ai palermitani, la presenza del monumento normanno, già molto manomesso, si è rivelata con la realizzazione, nel 2014 della Linea tranviaria n° 3 e del soprappasso pedonale il cui pilone occidentale veniva costruito ai margini (se non all’interno) dell’area non edificabile. Ciò ha messo in allarme le associazione cittadine, ma senza successo.
La Soprintendenza regionale sta cercando di portare avanti le pratiche di esproprio del monumento normanno ed ha elaborato un progetto di recupero che, se realizzato, darebbe adito all’inserimento del prezioso monumento nell’ambito del percorso UNESCO Arabo-normanno, aggiungendosi agli altri sollazzi come la Zisa, Maredolce e la Cuba di cui si attende l’inserimento. Tuttavia lo stanziamento finanziario previsto è molto esiguo per coprire l’intero costo dei lavori.
L’attenzione di Italia Nostra mira a velocizzare questo processo perché il monumento venga al più presto riconosciuto come una di quelle "perle" che circondano la città come una collana che cinge il collo delle fanciulle.
Poco noto fino alla metà del XIX secolo, la scoperta si deve a studiosi di storia dell’architettura che eseguirono i primi rilievi. Dopo Adolf Goldschmidt che lo visitò nel 1898, descrivendolo come rovina e realizzando i primi disegni dello stato di fatto, la vera riscoperta si deve agli scritti di Nino Basile, pubblicati nel 1938, ed ai successivi lavori di Giuseppe Bellafiore (presidente della sezione di Palermo di Italia Nostra dal 1963 al 2007). Il testo più recente e circostanziato è stato scritto nel 2018 da Piero Longo (presidente della sezione di Palermo di Italia Nostra dal 2007 al 2018).
Bibliografia essenziale:
Amari M., Storia dei Musulmani di Sicilia, Le Monnier, Firenze, 1854,
Basile N., Palermo Felicissima, ristampa, Pietro Vittorietti Editore, Palermo 1978
Bellafiore G., Parchi e giardini della Palermo Normanna, Flaccovio, Palermo 1996
Bellafiore G., Architettura in Sicilia nell’età islamica e normanna, Arnoldo Lombardi editore, Palermo 1990
Longo P., Il Sollazzo dello Scibene, Qanat, Palermo 2018
Goldschmidt A. 1898, Die normannischen Königspaläste in Palermo, in Zeirschrift für Bauwesen 48, pp. 541–590.
Battaglia G. Scopelliti G.M., Il Complesso dell’Uscibene e preesistenze di epoca romana nel territorio di Palermo: indagini preliminari, in Notiziario Archeologico 28/2017 della Soprintendenza di Palermo a cura della Sezione Archeologica della Soprintendenza per i Beni culturali e ambientali di Palermo.